Un piatto storico del territorio, molto raro trovarlo altrove, è la garmugia, una zuppa ricca di ingredienti, principalmente verdure, che dava il benvenuto alla primavera, prendendo idealmente il testimone lasciato dal passato di fagioli, dove si cuoceva il farro.
Mancano riferimenti ufficiali, ma tutto lascia pensare che le origini della garmugia siano piuttosto antiche, risalenti al XVII secolo: potrebbe avere una nascita umile, vista la disponibilità per i contadini di raccogliere frutti della terra, come ortaggi e verdure.
Considerata, però, la varietà di prodotti utilizzati, uniti a carne e pancetta, che forniscono sapore e consistenza, fa pensare che la garmugia venisse servita sulle tavole delle famiglie più facoltose, probabilmente i mercanti del luogo.
Il contadino per riempirsi lo stomaco, usava legumi e pane, a completare brodi di verdura composti da un solo ingrediente, come a esempio il cavolo nero.
La particolarità di questa zuppa è che si uniscono carciofi, piselli e asparagi, quasi a testimoniare come fosse possibile prepararla solo in un determinato periodo dell’anno.
L’unico legume presente, da consumare fresco e non essiccato, è la fava cucinata, che qui nel lucchese rappresenta un’eccezione rispetto al resto della regione, considerando come sia molto più comune mangiarla cruda, accompagnata magari da pecorino fresco.
La cottura nel camino era un classico del passato: lo scopo era avere a disposizione, in ogni momento della giornata, una zuppa calda corroborante, da proporre agli ospiti o per un consumo casalingo, per chi avesse da soddisfare una fame improvvisa.
L’etimologia della parola non è sicura, ma si può ragionevolmente pensare che derivi da “germiglio” (in toscano antico, il germoglio), rispondendo all’idea della verdura fresca primaverile; c’è anche chi la fa risalire al francese “gourmet”, vista l’influenza della lingua transalpina sul territorio.
Interessante rilevare come in molti abbiano ritenuto la minestra un piatto curativo, adatto a chi doveva ritemprare le forze dopo una malattia o al ritorno da un viaggio faticoso.
Nelle versioni che è possibile gustare nei ristoranti della città o nelle case, si concorda quasi sempre sugli ingredienti, con l’unica eccezione del pane: c’è chi proprio non lo utilizza o chi lo aggiunge tagliato a fette e tostato oppure a cubetti dopo averlo fritto.
Fra le protagoniste della riscoperta di un piatto a lungo dimenticato, bisogna citare la marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, che ripropose la ricetta nel libro Pranzi e conviti, uscito quasi cinquant’anni fa, ridestando l’attenzione su un piatto che rischiava di essere dimenticato.
Ingredienti per 6 persone; 6 cipolline fresche,
150 gr di punte di asparagi,
150 gr di piselli freschi,
150 gr di fave fresche,
4 carciofi,
100 gr di pancetta, 1
50 gr di macinata di manzo,
2 dl di olio extravergine di oliva, sale fino, pepe nero,
6 fette di pane toscano,
1 lt e ½ di brodo.
Tagliare le cipolline a fette sottili, quindi rosolarle dolcemente in una casseruola con l’olio: appena iniziano a imbiondire, unire dapprima i piselli e le fave fresche, insaporendoli con sale e pepe, quindi aggiungere la pancetta tagliata a cubetti e la carne macinata.
Far prendere colore e sapore tenendo coperto e unire in seguito le punte di asparagi e i carciofi tagliati a fette sottili; bagnare con il brodo, possibilmente di verdura, e portare a cottura. Tostare il pane o friggerlo, quindi servirlo insieme alla zuppa.